L’ISOLA DEI SARDI

L’ISOLA DEI SARDI

DI ENNIO PORCEDDU

 

” E’ noto come fra i maggiori flagelli che funestarono il travagliato cammino della Sardegna – scrive Alberto Caocci, L’Isola dei Sardi – La Sardegna nelle opere di Dante – sia da annoverare la malaria: una calamità secolare che affonda le proprie radici nei lontani tempi in cui venne profilandosi di fronte alle coste dell’isola la minaccia dell’invasione cartaginese: la prima d’una lunga serie che si sarebbe succeduta nel corso di ventidue secoli”.

La cronaca della Sardegna è stata condizionata in senso tragico da tre terribili flagelli provenienti dall’Africa. “I Punici, che uccisero la millenaria civiltà megalitica di un popolo di pastori che costruirono i nuraghi: la malaria, portata nell’isola dagli schiavi cartaginesi, che ha decimato e quasi annichilito la volontà di ripresa dei Sardi, per oltre duemila anni; la furia inesorabile contro l’inerme popolazione costiera, dapprima operata dai Saraceni e poi dai Barbareschi, in continue incursioni”.

Intorno al III e IV secolo d. C., però le avversità dell’Isola volsero al peggio, la Malaria si propagava, mietendo sempre più vittime: una maledizione che fu scacciata solo due millenni più tardi dall’esercito americano, con il D.D.T.

Lo storico Ettore Pais ha assegnato alla dominazione cartaginese il dilagare della malaria nella nostra isola, senza tuttavia produrre una probante documentazione.

Resta incontrovertibile, comunque, che fin dall’antichità classica è stata tramandata una larga messe di citazioni sulla mala sanità dell’isola. Il primo a occuparsene fu Cicerone, noto detrattore della Sardegna e dei suoi abitanti. In una lettera al fratello Quinto, allora pretore a Olbia, lo prega di rientrare quanto prima a Roma, o almeno di riguardarsi, poiché anche se si era d’inverno, la salubrità del clima sardo avrebbe potuto ugualmente essergli fatale: “Benché sia inverno, ricorda che quella è la Sardegna!”

Altrove, rallegrandosi di avere rotto ogni rapporto col sardo Tigellio (una specie di cantautore particolarmente caro a Cesare), la definisce: ” più pestilenziale della sua patria”.

Della vita della Sardegna sotto la dominazione romana del II secolo a. C., c’è poco da ricordare se non le ribellioni continue dei Sardi: I pirati saccheggiavano i porti, deportavano come schiavi i Sardi nell’Africa del Nord, man mano che le difese romane s’indebolivano.

Perché tanto interesse per una terra così “difficile”? Non certo per le sue immense ricchezze – si domanda lo storico Alberto Caocci, perché – come ben si sapeva – le precedenti dominazioni ne avevano in sostanza distrutta l’economia.

Infatti, furono gli arabi a dare maggior problema e i Sardi scelsero di chiedere la protezione alle città di Pisa e Genova.

Scoperta la nostra, isola, le due Repubbliche marinare si accorsero di quanto fosse importante la Sardegna, dal punto di vista strategico, politico e commerciale e quindi intrecciarono una fitta rete di rapporti commerciali con i Giudicati.

Al seguito dei Pisani e dei Genovesi , spesso invitati dai Giudici, sbarcarono nell’Isola numerosi monaci Benedettini, Cassinesi, Vallombrosani, Camaldolesi, Vittorini e Cistercensi. Che la inondarono di monasteri, chiese e abbazie che divennero centri di fiorenti attività. Ma non tutto andò tranquillo tra le due Repubbliche: Tra loro si instaurò una loro secolare rivalità che li condusse ad una lotta senza quartiere: e il teatro di questo lotta fu la Sardegna. Anche i monaci che in prevalenza appartenevano agli ordini religiosi toscani, non dimentichi della propria origine, si adoperarono per favorire la Repubblica di Pisa. Altri agirono allo stesso modo, nei confronti del Papato, sempre convinti di vantare diritti sulla Sardegna o sulla Repubblica di Genova. Questo portò l’Isola alla perdita dell’autonomia.