CASTELLO SAN MICHELE O SANTU MIALI, UN PATRIMONIO CULTURALE DI GRANDE IMPORTANZA STORICA

CASTELLO SAN MICHELE O SANTU MIALI,
UN PATRIMONIO CULTURALE DI GRANDE
IMPORTANZA STORICA

 

 DI ENNIO PORCEDDU

Il castello di San Michele (Santu Miali) o “Castillo de S. Miguell”, sorge a 120 metri slm, fu costruito nel secolo XIII, in età pisana, su di un insediamento monastico dedicato all’Arcangelo. Da qui deriverebbe il nome. Poi il maniero passò  (disegno di ennio porceddu)  dai pisani alla famiglia aragonese dei Peralta. In seguito andò ai Carroz che lo rinforzarono e ne fecero un baluardo di difesa della città, favorito dall’eccezionale posizione. Ciò, consentì la vigilanza dalla pianura di tutto il Campidano, alle contrapposte catene montuose che lo delimitano fino al castello di Monreale.

Nel 1600, I Carroz, lo abbandonavano. Per essere utilizzato in seguito quale lazzaretto.

Un secolo dopo – secondo un antico documento esistente nell’archivio della capitale piemontese – gli fu dato nuovo valore quale punto strategico per contrastare l’invasione francese del 1793.

Nel 1864, fu sdemanializzato e passò al nobile di San Tommaso.

Alla fine del XIX secolo, infine, diventò monumento nazionale.

Poi abbandonato all’incuria del tempo e degli uomini.

Solo negli anni cinquanta si pensò di utilizzarlo cedendolo in prestito alla Marina Militare che ne fece una stazione radio.

Finalmente, nel 1972, la Giunta Comunale di Cagliari, lo restaurò per riportarlo al suo antico splendore. I lavori iniziarono nel 1989 terminarono a metà del ‘96.

Dal mese di febbraio ‘97, si può accedere fino alla sommità del monte omonimo, dove è ubicato il castello.  Il Valery, a proposito del maniero scrive: “ Il castello di San Michele, a nord di Cagliari, sulla cima di una montagna, pittoresco per le sue torri in rovina, fu eretto dai Pisani nello stesso posto di una certosa”.

Non appena i Pisani capitolarono, lo occuparono gli Aragonesi e divenne il sinistro maniero della famiglia Carroz. Il viceré Nicola Carroz, dopo essere stato il terrore della Sardegna e aver tenuto prigioniero il marchese di Oristano (suo nemico), perse alla fine dei suoi giorni, il figlio. Così si convinse d’essere perseguitato da un sortilegio, immaginario crimine per il quale denunciò la viscontessa di Sanluri; costei, pur essendo riuscita una volta a farsi assolvere come ribelle, non poté sfuggire a questa strana accusa.

Berengario Carroz estese le fortificazioni del castello di San Michele, celebre nelle guerre tra i pisani e gli Aragonesi.

Questa fortezza, in seguito adattata a servizio dell’artiglieria, fu trascurata dopo il ritiro in Spagna dei Carroz.

Poiché la porta e il ponte levatoio erano a levante, gli attacchi potevano venire solo da sud, lato difeso da tre batterie.

Il castello, dopo essere stato adibito negli ultimi tempi a alloggio per invalidi, è oggi abbandonato; ma anche il suo degrado merita ancora la visita del viaggiatore”.

Vittorio Angius, nel 1835, afferma ” E’ quadrato, con tre torri simili, ma disuguali ai tre angoli in libeccio, scirocco e greco. Il perimetro somma a m. 144″.

Raimondo Carta Raspi (Castelli medievali della Sardegna, 1933), afferma: “Questo castello, in confronto agli altri della Sardegna, si presenta di modeste proporzioni, tozzo e rozzo nelle sue forme: e se dobbiamo giudicare dagli avanzi che ce lo mostrano non dissimile, dallo schizzo fatto dagli aragonesi nel 1358, non fu che un castelluccio che i pisani dovettero solo considerare d’importanza politica più che militare. E’ quadrato, con tre torri, una delle quali più alta, in tre vertici, circondato da un fossato. Posto in un colle isolato, senza opere sussidiarie ai fianchi della collina, la sua mole e il suo presidio non potevano allarmare”.

L’Anonimo piemontese, nel 1759, nei suoi appunti “Descrizione dell’isola di Sardegna” annotta che il castello è “distante due miglia da Cagliari, detto di S. Michele, più forte per la sua situazione sovra di un eminente colle, che per le sue fortificazioni che vanno in rovina, e in esso non fanno dimora che alcuni invalidi per la guardia del medesimo”.

Oltre l’ingresso due stemmi: in uno il disegno del castello, nell’altro quello del proprietario. “Nel castello – afferma il prof. francese Philippe Brochard – il signore si fa collocare i simboli del proprio blasone dappertutto: sui muri, sui capitelli delle colonne, sopra le porte. Quando il castello è conquistato da un altro signore, questi si affretta a far sostituire i vecchi simboli con i propri“.

STRUTTURA DEL CASTELLO

Il castello ha la forma di un quadrato e consta di due torri pisane, di una terza aragonese e di un muro protettivo. Tutto intorno, un fossato e al centro del maniero una cisterna. L’ingresso è sito tra le due torri pisane che guardano verso la pianura campidanese. La porta d’accesso aveva un sistema a saracinesca, usuale in tutte le fortezze medioevali.

Nel 1902, il giornalista Yosto Randaccio, in una corrispondenza da Roma, a proposito delle disastrose condizioni del Castello di S. Michele, su L’Unione Sarda titola:Tesori abbandonati. ” Il rovinoso maniero dei Carroz, visto dal luogo, ha la sembianza di una rocca imprendibile, desiosa di pace e di silenzio. Forse, è il ricordo della sua vita eroica, che lo richiama alla miseria nostra, misconoscente tutto un passato vergato a punta di lancia; forse è lo spirito dei suoi primi abitatori, i Certosini, aleggiante di nuovo fra quelle mura sacre per il ferro e per la pugna, che lo fa apparire cosi sdegnoso dello sguardo umano!. Difatti, chi è che non provi un eguale sdegno? Chi è che non senta tutto l’impeto di queste memorie, movendo il passo verso la rocca? La strada che colà vi conduce prepara l’animo vostro alla visione prossima: è tacita, dirupata, deserta, priva anche di un albero, di un campiccio che ne rallegrino la malinconica immensità. Qui né pure la dilettevole gaiezza del paesaggio sardo può vincere la tristezza vostra, poi che, giunti là su, la nudità di quelle pietre prive di qualunque ornamento architettonico, spoglie della più semplice voluta vi fa affollare la mente di tutto il passato glorioso di questo castello incombente come un falco su la vallata ove un di vissero di vita fiorente la Kalaris romana, la cristiana e la medievale, Santa Gilla, Santa Cecilia le due villae dei giudici cagliaritani”.

“Santu Miali – continua Yosto Randaccio – io l’avevo amato, adolescente, allorché nelle pagine di Leonardo Alagon, il romanzo storico di Pietro Carboni (l’infelice), io fremevo al dramma d’amore di Dalmazio Carroz e di Eleonora Alagon. Ricordate? Salvatore Cubello, Leonardo e Artaldo Alagon, il conte di Monteacuto, Nicolò Montagnano, Brancaccio Manca, Angelo Cano combattenti per il marchese di Oristano e per la libertà della terra sarda, Nicolò Carroz, Pietro Pujades, Angelo Marongiu uniti contro di essa, servi d’Aragona; fra gli intrighi e i tradimenti, segno del valore degli uni e degli altri, la battaglia di Uras e di Macomer. Certo, oggi, il castello non ha più vestigia di questo splendore di vita e di armi, non più le antiche tracce del convento certosino mutato in fortezza dai Pisani astuti; ma né meno tracce dell’opera di Raimondo Peralta che la curò e la munì più validamente per ordine degli Aragonesi! Le torri – secondo il Fara – furono aggiunte da Berengario Carroz, oggi sono smantellate; e il fossato già ripieno d’acqua contro gli assedi, è colmo di macerie e di detriti del castello stesso! Questa cura assidua verso la rocca feudale prova l’importanza di essa.

Nel 1398 il re Martino d’Aragona inviava soccorsi d’uomini e di denaro per restaurarlo e difenderlo, e perfino nel 1637, quando i Francesi, sotto il conte d’Harcourt, attaccarono Oristano esso fu munita di artiglierie.

I secoli passavano per la cima, ma il castello rimaneva intatto! Solo nel 1652 comincia la sua decadenza. La peste che dalla Catalogna aveva invaso la Sardegna settentrionale, ne fece un lazzaretto; e il La Marmora afferma che qualche decade prima della sua venuta in Sardegna era una caserma di soldati invalidi“.

A questo punto Yosto Randaccio, fa alcune riflessioni e si pone delle domande legittime che, però, non troveranno mai una risposta “L’incuria nostra poi ha distrutto ancora gran parte del castello: dove sono le tracce della porta d’ingresso? dove è andato a finire il suo ponte levatoio? Dov’è la sua saracinesca? chi li ha trafugati?Poi se la prende con coloro che sono preposti alla tutela dell’arte e dei monumenti della provincia di Cagliari. “Li hanno, putacaso, usati come legna da ardere?Secondo il Randaccio, nel 1860 Alberto La Marmora poté vederli, e aggiunse “Che il castello di Santu Miali, sia dichiarato, almeno, monumento nazionale”.