SA DIE DE SA SARDIGNA

Il 28 aprile per i sardi è festa, in ricordo della cacciata dei piemontesi avvenuta in quel giorno nel 1794. . Una commemorazione che è festa popolare per tutti i cagliaritani.

 

SA DIE DE SA SARDIGNA

(IL GIORNO DELLA SARDEGNA)

 di Ennio Porceddu

L’insurrezione esplose nel momento in cui i piemontesi arrestarono l’avvocato Vincenzo Cabras e il fratello bernardo al posto di Efisio Pintor, che era riuscito a scappare. Ma già iniziò un anno prima, quando i cagliaritani respinsero con grande determinazione i francesi. (Foto di Pino Canu)

Sa die de sa Sardigna (Il giorno della Sardegna) è la ricorrenza popolare dei sardi che rievoca i cosiddetti “Vespri Sardi”, cioè l’insurrezione popolare esplosa il giorno 28 aprile 1794 con il quale si cacciarono da Cagliari i Piemontesi e il viceré Balbiano in seguito al diniego del governo di Torino di esaudire le richieste che venivano dell’isola titolare del Regno di Sardegna.

In effetti, i Sardi chiedevano che fossero loro riservata una parte degli impieghi civili e militari e una maggiore indipendenza rispetto alle risoluzioni della classe dirigente locale.

Al rifiuto del governo piemontese di accogliere qualsiasi petizione, la borghesia cagliaritana sorretta da tutta la

popolazione s’infiammò facendo nascere il moto insurrezionale.

Le prime scintille della ribellione popolare erano già iniziate negli anni Ottanta del Settecento ed era continuato negli anni novanta interessando tutta la Sardegna.

Le ragioni del malcontento, erano di ordine politico ed economico insieme, da riallacciare al 1793, quando l’isola era stata implicata nella guerra della Francia rivoluzionaria contro stati europei e contro e il Piemonte. Così quando si parla della storia sarda, dobbiamo tenere a mente i bienni 1793 e 1794.

Dopo che i francesi, un anno prima, occuparono Nizza, Savoia e decisero di conquistare la Sardegna. La Francia era convinta che conquistare l’isola fosse un’impresa facilissima. La Sardegna era, al momento, nel caos con gli isolati scontenti e il governo piemontese incapace di difendersi. Invece accadde l’impensabile che i francesi non si aspettavano.

Quando, febbraio del 1793, la flotta, capeggiata dall’ammiraglio Truguet, si affacciò nella rada di Cagliari e iniziarono il cannoneggiamento, trovarono un’eroica opposizione dei Sardi, in difesa della loro terra. Con tale opposizione si manifestava un sentimento nazionale, che portò a scriverla nella sua autobiografia Vincenzo Sulis.

I sardi, giustamente, dai Piemontesi si aspettavano una riconoscenza e una giusta gratificazione per la fedeltà manifestata alla corona. Le cose però andarono diversamente. “Mostrandosi il Ministro Granirei contrario alle domande presentategli – scrive Pietro Meloni Satta – in nome degli Stamenti dai Deputati a ciò delegati, e accentuandosi sempre più la tracotanza, il contegno poco corretto, le satire e le insolenze continue dei Piemontesi contro gli Isolani, il malcontento assume proporzioni gravissime in tutta l’Isola, e specialmente nella capitale“.

La fiamma che fece perdere il controllo ai cagliaritani fu (il 28 aprile 1794), l’arresto disposto dal viceré di due capi del partito patriottico, gli avvocati cagliaritani: Vincenzo Cabras ed Efisio Pintor.

In breve i fatti. Intorno all’una di pomeriggio di quel giorno, una Compagnia di granatieri del reggimento svizzero Schmidt, scende dalla Porta Reale, a Cagliari, avviandosi verso il quartiere di Stampace. I soldati sono in uniforme di parata: la gente che passa pensa di essere di fronte ad un’esercitazione. Poi con un passo più veloce, una parte dei soldati si schierano accerchiando l’abitazione dell’avvocato Vincenzo Cabras. Fu predisposto l’arresto del Cabras e del genero, Efisio Pintor, anche lui avvocato, considerati dalle Autorità Piemontesi due pericolosi rivoluzionari ma quest’ultimo riuscì a scappare. Allora fu preso il fratello Bernardo.

A questo punto – scrive Pietro Meloni Satta – “scoppia l’insurrezione nel sobborgo di Stampace. Si corre in folla forzando e bruciando una porta della Marina, e occupansi in pochi istanti le altre porte, e le batterie che guardano il mare. Nasce un vivissimo fuoco colle truppe con morti e feriti da ambo le parti. Il più duro conflitto avviene alla porta del Castello, chiusa e ben munita, di dentro, dalle truppe. Quivi si riversa la popolazione chiedendo, con grida furibonde, la liberazione dei due arrestati. Si da fuoco alla porta e si scala la muraglia. Penetrati in Castello si sostiene, per un’ora, un fuoco vivissimo colla truppa, che occupava le diverse imboccature delle strade, e ciò malgrado le rimostranze del marchese di Laconi e del Colonnello Schmidt: il primo dei quali, colle lacrime agli occhi, esortava il Viceré a far deporre le armi per risparmiare il sangue cittadino”.

 La popolazione furibonda decise di cacciare dalla città il viceré Balbiano e tutti i Piemontesi. Incoraggiati dalle vicende cagliaritane, gli abitanti di Alghero e Sassari fecero altrettanto.

Per dovere di cronaca storica, occorre segnalare che furono i macellai, nei loro costumi tipici, i primi a sollevarsi contro i Piemontesi, con Ciccio Leccis in testa, il capo popolo che arringò la folla facendo scoppiare la rivolta.

Gli insorti, conquistato il Castello, sfondarono le porte e occuparono palazzo Viceregio. Per prima cosa, allegoricamente, nel ricordare la molla che aveva scatenato la sollevazione popolare e ad attestare un beffardo e tollerante spirito che sempre aveva contraddistinto i cagliaritani, nel palazzo del vicerè fu banchettato un ricco pasto di tutte le pietanze trovate nelle dispense, lasciate dai piemontesi.

Fuori i Piemontesi!” echeggiavano all’unisono nelle strade di Castello gli insorti. Don Francesco Asquer, visconte di Flumini a capo di oltre cento persone, arresta i Piemontesi presenti in Castello.

In attesa del giorno dell’imbarco, previsto per il 7 maggio, i Piemontesi furono alloggiati e protetti affinché non patissero alcun disaggio.

Il giorno stabilito, con le loro masserizie, sono accompagnati al porto e imbarcati. Al quel punto i cagliaritani incominciarono a chiedersi, perchè lasciare ai Piemontesi tutti i beni rapinati ai Sardi? Allora fu suggerita l’ipotesi di chiedere un risarcimento immediato.

A quel punto intervenne il macellaio Ciccio Leccis: “Lasciateli andare, che i sardi benché poveri non hanno bisogno della merda dei piemontesi“.

Procurad’ ‘e moderare,/ Barones, sa tirannia, /chi si no, pro vida mia, /torrade a pe’ in terra!” (Cercate di moderare / baroni, la tirannia, / ché se no, per la mia vita!, / tornate a piedi a terra! Recitano alcuni versi de Su patriottu sardu a sos Feudatarios (Il patriota sardo ai Feudatari).

Fu un episodio sicuramente considerevole per l’isola, per quei moti antifeudali, anche se certuni non approva questa lettura dei fatti, che lo animarono.

Nel 1993, il Consiglio Regionale sardo, con la legge n.44, ha istituito “Sa die de Sa Sardigna” come festa regionale, il 28 aprile di ogni anno, in ricordo di quell’avvenimento del 1794.

Il”Giorno della Sardegna” è raccontato con manifestazioni culturali e una “rappresentazione scenica” degli scontri del 1794 nei luoghi reali, dove essi ebbero luogo.

Molti i sardi e i turisti che si riversarono nel quartiere di Castello, ogni anno, per assistere con grande partecipazione, a tale rievocazione storica. Noi de “Il turista e l’elefante”, siamo tra quei sardi che non si perdono quest’occasione.