I FRATELLI MARCEDDU

I FRATELLI MARCEDDU

CURIOSITÀ STORICHE  DI CAGLIARITANI IN CONTROLUCE

 

Di Ennio Porceddu

La Cagliari degli anni trenta del secolo scorso era piena di personaggi e tipi curiosi simili ai due fratelli Marceddu. Ogni strada ed ogni quartiere aveva una figura singolare, una macchietta caratteristica di cui i ragazzi approfittavano per divertirsi alle loro spalle e di cui il popolino si serviva per raccontare avvenimenti gioviali e piccanti. Mio padre mi raccontava sempre, che nei primi anni del 1900 vivevano a Cagliari fratelli Marceddu o fraris Marceddus, che esercitavano il mestiere di fabbro e avevano la bottega nei pressi del Teatro Civico di via Università noti per essere  grandi mangiatori di pesci e non solo di pesci. Il più anziano era uno spilungone, un po’ curvo, ed aveva una enorme pancia; l’altro era basso ed aveva le gambe corte. Rassomigliava ad una botte.

I due fratelli, spesso cuocevano parecchi chili di pesce su una. rete metallica, di cui si servivano per sdraiarsi. Questo perché erano grandi mangiatori di pesce: , in particolare Zerri e sardine. Durante la cottura si sentiva un fetido odore e un continuo scoppiettio. Uno dei due aveva detto che i pesci erano molto grassi e appunto per ciò i rumori provenivano dalla cottura del pesce. Per verificare se i pesci erano in cottura, si davano da fare con il primo assaggio e sparivano in pratica, un paio di chili di pesce. “Oh fradi – diceva il fratello dall’altezza minima – su pisci est casi cottu, piga su bottiglioni de su binu e poi, sezziri a papai, degunò si sfriranta”. E cosi, i due fratelli Marceddu facevano man bassa del pesce arrosto finche non rimaneva neppure la spina per i gatti. La gente, asseriva che i pesci cuocevano assieme a degli insetti che si trovavano nella rete metallica.

La povera rete metallica  veniva poi, a malapena spolverata e la notte  aveva la funzione di essere un letto per uno dei fratelli. Poi la mattina dopo i due fratelli Marceddu, prima di aprire la loro bottega di fabbro, si recavano al mercato civico nel largo Carlo Felice a acquistare qualche cesta di pesce per il pranzo.

Ho sempre sentito dire che quando si trovavano a Pirri, mio paese natio, per la festa di Santa Chiara, i due fratelli arrivavano con cesti di pesce e con una rete metallica e con saggezza, arrostivano e mangiavano, per non perdere tempo. Poi, mentre il fuoco continuava a fare il suo dovere, si recavano nella pasticceria della piazza e chiedevano delle paste. Alla domanda del pasticciere, “Quante ne volete?” I fratelli Marceddu rispondevano candidamente: “Inizia a mettere tutte quelle che hai nel banco, poi vediamo”.

Marcello Serra, nel 1977, dei fratelli Marceddu scriveva: «L’Aurora sui graniti è Rossoblù», scritto in occasione della vittoria della squadra calcistica della Unione Sportiva Cagliari nel massimo campionato di calcio: «Guardando la torre pisana, che si staglia con le sue pietre calcaree tutta bionda di sole come un fondale luminoso tra le due quinte in ombra della Via Università, il più alto diceva sospirando e intenerito: “O fratellino mio, se questa torre si trasformasse tutta in polenta!”. E l’altro, completando il pensiero: “E quelle pietre che sporgono dai muri diventassero ciccioli, tocchi di lardo, pezzi di formaggio! Che bella festa per noi, o fratello! Che bella mangiata potremmo farci finalmente!”. “Ed invece oggi – chiede il primo – che cosa abbiamo a pranzo?” “Soltanto due canestri di pesci  – risponde il secondo – una conca di interiora ed un catino di frattaglie. E c’è ancora da aspettare tanto a mezzogiorno!”».