I FALSI D’ARBOREA di Ennio Porceddu

Falsi ma mitici. Documenti inventati per dar lustro alla lingua e alla cultura medioevale della Sardegna. Il Falsario: il fraticello Cosimo Maria Manca.

 

 I FALSI D’ARBOREA

Eleonora d'Arborea
Eleonora d’Arborea

 di Ennio Porceddu

 

Fin dal XVI secolo gli studiosi hanno sempre lamentato la difficoltà a trovare documenti sul periodo medievale della Sardegna. In pratica era difficile o quasi impossibile, in certi casi, raccontare quanto era realmente accaduto nel periodo che va dal VI secolo d. C. fino a quasi il 1300.

Pietro Martini
Pietro Martini

Le pochissime notizie che gli storici riuscivano ad avere erano, spesso dettato da immaginarie narrazioni o inverosimili baggianate che spesso erano tramandate oralmente e ampliate che spesso affogavano, come scrisse qualcuno in una specie di “gioco d’equilibrismo”.

La Sardegna Giudicale
La Sardegna Giudicale

L’inizio dell’Ottocento è un periodo illuminate per gli illustri storici, quasi come fosse una corsia ai cavalli, pubblicavano nuove opere sulla storia della Sardegna. Molto spesso le pubblicazioni venivano dettate dal bisogno di apparire sempre di più nel loro mondo borghese, altre volte per sfatare le malelingue, l’indignazione e l’ironia per come veniva poco considerata l’Isola, a iniziare dal console  Marco Tullio Cicerone, fino a Honoré de Balzac che nella primavera del 1818 fece tappa in Sardegna per tentare di recuperare i denari investiti in alcuni giacimenti minerari, rilevatisi poi fallimentari ebbe l’ardire di scrivere che girando l’Isola “ho visto cose come se ne raccontano degli Huroni e della Polinesia.Un regno interamente deserto, veri selvaggi, nessuna coltivazione, savane di palme selvatiche…” considerando i romani e i metallurgici del medio evo degli ignoranti. Altri definirono i sardi “Pocos locos y mal unidos”: secondo alcuni fu l’imperatore Carlo VI a pronunciarla, altri affermano che fu  arcivescovo di Cagliari, un certo Antonio Parragues de Castillejo, che più che pronunciarlo, lo mise per iscritto in una missiva. Altri ancora, in questo caso uno svedese, descrive che le nobildonne sarde erano sporche e piene di pulci; anche l’Anonimo piemontese (Descrizione dell’Isola di Sardegna), a metà del XVIII secolo, nella sua cronaca, dava un giudizio dell’isola, complessivamente negativo, ma attenta e sincera della nostra isola e di indiscutibile valore storico.

Tuttavia, nonostante le stupende pagine, in cui gli autori provavano tutto l’opposto, c’era una scarsità di testimonianze certe. Tutto cominciò intorno al 1845 quando l’ormai mitico fra Cosimo Maria Manca da Pattada del convento di Santa Rosalia di Cagliari, con abilità e furbizia mise in circolazione i primi documenti alimentando, in tal modo, la fame di conoscenza di studiosi e appassionati di storia sarda. Come per incanto un giorno del mese di gennaio di quell’anno, allo storico Pietro Martini, allora direttore della Biblioteca Regia di Cagliari, si presentò il fraticello, con una pergamena che diffondeva luce al periodo medievale dell’Isola.

Il giudice Mariano IV
Il giudice Mariano IV

Il frate ne affermava la provenienza dagli Archivi dei Giudici d’Arborea di Oristano, da qui il nome di Carte di Arborea (che, in ogni caso, è bene rimarcare, non hanno niente a che fare con la “Carta de Logu” della giudicessa Eleonora d’Arborea: una raccolta di leggi in lingua sarda destinata ai Giudicati sardi.

Pietro Martini, non ci pensò due volte, e acquistò il prezioso attestato che senza indugio, pubblico nel 1846. Dopo due anni, il fraticello si ripresentò con altra documentazione che appariva di grande importanza. Ancora una volta il direttore della Biblioteca Regia di Cagliari acquistò tale documento che regolarmente pubblicò .

La vicenda andò avanti per quasi quindici anni, e nessuno aveva mai pensato di sapere la provenienza di quei libri e pergamene, anche se era rubati, la cosa più importante in quel momento era far conoscere quelle straordinarie scoperte a tutto il mondo.

Tutta quella montagna di testimonianze redatte da chi sa chi, dimostrava che la Sardegna, sin dal 500 – 600 d. C., in pratica dalla dominazione romana al medioevo, era la culla di una fiorente civiltà, autonoma e prospera di artisti, poeti, scrittori e illustri personaggi; non basta, questi documenti rivelavano che la lingua italiana era nata nell’Isola. La raccolta definitiva delle Carte fu pubblicata nel 1863. A questo punto, qualcuno incominciò a sentire odore di truffa, mentre un drappello di ricercatori: sardi, italiani francesi e tedeschi, difendeva a spada tratta come autentico tutto quello che aveva pubblicato Pietro Martini.

Gli scettici, che erano anch’essi tanti, avevano affermato che quelli definiti autentici, erano, in effetti, una vergognosa manipolazione della storia, e si rifiutavano di inserirli nelle loro pubblicazioni. Per dipanare tale problema, Baudi di Vesme (che aveva acquistato qualche pergamena, spendendo un bel po di quattrini), nel 1870 decise di interpellare degli esperti:la scienza dimostrò la falsità di tali pergamene e lo fece nella persona di Theodor Mommsen, presidente dell’Accademia di Berlino. La risposta fu categorica: “tutti i documenti pubblicati sotto il nome di Carte d’Arborea sono falsi”, la sudicia apparenza esteriore da farle apparire antiche, “era stata provocata con una sozzura liquida e vischiosa”.

La giudicessa Eleonora d?Arborea promulga La Carta de Logu
La giudicessa Eleonora d?Arborea promulga La Carta de Logu

Da quel momento sono per tutti ritenuti i Falsi d’Arborea. Ma nonostante ciò, ancora nel 1994, non mancavano, tuttavia, studiosi che ritenevano ancora aperta la polemica scientifica sull’autenticità o meno delle Carte.

Questi falsi, meglio conosciuti sotto la denominazione impropria di “Carte d’Arborea” che raccoglie un insieme di pergamene, di codici cartacei e di documenti, (in tutto una quarantina di testi di varie dimensioni), sono quasi tutti conservati nella Biblioteca universitaria di Cagliari, relativi al periodo che va dal VI al XV.

Mommsen
Mommsen

I falsi – secondo lo scrittore Natalino Piras – interpretano lo spirito dei Sardi più di qualsiasi “tradizione storiografica europea”. Ne costituiscono il romanzo storico, come giustamente dice lo studioso Manlio Brigaglia, ma allo stesso tempo svelano quanto di falso, compresso, abraso, cancellato, manipolato, imposto con forza ci sia nella tradizione storiografica che si occupa di Sardegna. “In altre parole – afferma  Francesco Casula – sono certo dei “Falsi” che però raccontano dell’Isola e della sua civiltà politica e letteraria, più verità di quanto non ne racconti la storia ufficiale narrata dai “vincitori”.

Questi falsi sono peraltro in buona compagnia. In genere, gli archivi europei sono ricolmi di falsi, letterari e non, a lungo ritenuti genuini e di cui alcuni hanno perciò avuto anche valore legale”. Wattenbach 1896.

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